Cedere: la poesia di Ardigò è un invito che ci riguarda

Luana Lamparelli
Si tratta del nuovo libro di Alessandro Ardigò, che non è mera silloge di poesia e prosa: è immagini vivide di stati interiori e momenti quotidiani, tutti che ci appartengono
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È pensiero diffuso che la poesia sia cosa complessa, complicata e difficile: sarà colpa della polisemia che apertamente dichiara per la parola scandita. O delle metafore, delle figure retoriche. Eppure, in ogni istante delle nostre esistenze, ogni singola parola – letta, ascoltata, ritrovata – può condurre in caduta libera su ricordi, sentimenti, emozioni, sensazioni. Che stiamo guidando, lavando piatti, spingendo carrelli della spesa, la poesia è lì in agguato, per ricondurci a noi o lontano da noi, in un presentarsi di più significati legati e annodati alla nostra storia interiore, privata, a tratti segreta.

Il mondo appare notevolmente cambiato dal primo articolo di questa rubrica. Green pass, per esempio, è un’espressione che segna una nuova era. Avremmo mai potuto immaginarlo?

Tra interrogativi e considerazioni, nuove realtà e verbi prima trascurati s’impongono sempre più, anche se silenziosamente, insegnandoci che dobbiamo tornare – alla vita, alla convivialità diffusa – ma anche nuovamente imparare. Talvolta, comportamenti e inclinazioni nuove; altre volte, quello che sapevamo fare.  Un verbo in particolare mi ha affascinata, di recente: “cedere”, in copertina a un libro, nel titolo dell’opera.

Ho deciso di riprendere questo “Discorso per appunti” da cedere perché reputo sia un verbo che occorre imparare a coniugare, soprattutto in virtù dell’amore e dell’amore per noi stessi, nella sua polisemia.

Cedere, nella sua connotazione positiva: cedere il passo, cedere la parola, cedere il posto; cedere i propri giorni al vuoto che può diventare spazio rinnovato.

Cedere, nel suo composto di con-cedere, che ci pone costantemente in cor-relazione.

Al tempo stesso, cedere nella sua connotazione di smettere di opporre resistenza, di sottostare, il più delle volte a quello a cui noi diamo potere, consenzienti o inconsapevoli. E quindi cedere come processo di sottrazione che segna il passo al moltiplicare del proprio potenziale.

Sono valutazioni – strettamente personali – nate dalla lettura di un titolo di libro. Sfogliandolo, pagina dopo pagina ho ritrovato quello che siamo: noi, con le nostre connessioni e i frammenti dell’io, col rinfrancarci e il dissiparci per poi ricomporci in nuovo ordine, tra amori rincorsi tra mail, social ed etere, nati e finiti. Si tratta del nuovo libro di Alessandro Ardigò, che non è mera silloge di poesia e prosa: è immagini vivide di stati interiori e momenti quotidiani, tutti che ci appartengono. A sottolineare ciò e arricchire l’opera di suggestioni, la presenza delle fotografie di Eugenio Tonoli, rigorosamente in bianco e nero.

In questo “discorso per appunti” che a singhiozzi conduco da oltre un anno, tra lunghe assenze e ritorni imprevedibili, mi accorgo della necessità di imparare a cedere, in tutte le sue connotazioni. Dovremmo imparare a cedere, come sinonimo di essere inclini alla bellezza, che non è categoria o etichetta, ma modo profondo di sentire, essere e agire. Talvolta, di dimenticare e lasciar andare, o più coraggiosamente far spazio e lasciar accadere.

Allora ecco nascere il confronto con l’autore, in un’intervista suggestiva.

“Un puro azzurro si ferma sulla fronte

oltrepassando il muro d’alberi al cielo.

Sono le vie antiche

della solarità.”

L.L. Come nasce "Cedere", sulla spinta o l'esigenza di quali sentimenti e quali prospettive?

A.A. “Cedere – e altre cose dette d’amore” nasce dall’urgenza della parola poetica, dalla necessità della poesia per raccontare la vita sotto forma di canto.

La capacità espressiva della poesia – espressiva proprio in senso etimologico di ex-premere, cioè “tirar fuori” – è stata più forte di ogni altro progetto. Nonostante dopo il primo libro avessi cercato di fuggire dalla poesia, di evitarla, essa si è ripresentata e si è imposta come qualcosa di ineludibile. Per intenderci, io vengo da un libro che si intitola “Prosimetro moderno”, composto da un’alternanza di racconti e poesie. L’idea era quella di proseguire con un libro esclusivamente di racconti. L’avevo già impostato, avevo trovato i temi, i soggetti, il titolo addirittura, le note di sottofondo che volevo far risuonare. Mentre mi mettevo a imbastire i testi, però, la poesia, così legata alla vita, al suo fluire emotivo, veniva a bussarmi con dei versi, delle immagini, delle suggestioni. La poesia è stata così dirompente che alla fine ho archiviato – e spero solo rimandato – la stesura dei racconti. Man mano che accumulavo materiale poetico, nella mia mente si delineava la strada stilistica e contenutistica da percorrere. Sentivo che dovevo staccarmi dalle logiche del libro precedente, basato sul miscuglio fra prosa e poesia, e cercare una via più sottile, più ariosa, più staccata. Istintivamente allora ho guardato a Sandro Penna, che è uno dei miei grandi autori, che ciclicamente rileggo dall’adolescenza. Ho guardato alle sue quartine così pulite, fatte di settenari o di endecasillabi, una poesia monda dall’impaccio della prosa. Ho pensato che era la pulizia del verso e della sintassi il luogo dove far deflagrare la tensione. Sono convinto che si possano percepire meglio le varie conflittualità e sentirle risuonare più potenti usando parole e versi chiari, proprio grazie al contrasto fra la visceralità delle emozioni e la pulizia del verso. Quella di “Cedere” è una poesia che fugge dall’analogia, basta leggere l’inizio: “Non alludiamo a nulla./Soltanto gli dèi dell’abisso alludono, / per restare incapiti”.

L.L. La tua opera si divide in due parti. Nella prima prevale la poesia come stato emotivo interiore; nella seconda, la realtà corrosiva dei social, di internet, della frenesia. Una dicotomia, quasi? Come dovremmo leggerla?

A.A. La poesia indaga il reale con una con una capacità di sintesi che poche altre arti hanno. Secondo me, esiste una vera e propria euristica della poesia, cioè una capacità di scoprire verità, verità che le sono proprie e che nascono in relazione al suo linguaggio. Per questo i versi sono preziosi. Essi attribuiscono parole alla nostra interiorità, parole che risuonano profondamente con essa, ma non solo. Le verità della poesia sono anche necessarie alla comprensione del mondo esterno. Una comprensione poetica, cioè sottile, ulteriore – “al di là” – e a un tempo potente. Per questo in “Cedere” non si rinuncia alla lettura del “fuori”, dell’esterno. Un esterno contemporaneo, sociale; si cerca di ricostruirne le dinamiche e di proporle allo sguardo del lettore in maniera sintetica ed esteticamente significativa.

Il libro è costituito da sette capitoli: Il Piacere, Amorose, Visioni, Elementari, Pianeta Coma, Pezzi, Ritorno. La parte più propriamente rivolta all’analisi della realtà contemporanea è il capitolo sesto, Pezzi. “Il Piacere”, il capitolo primo, è invece legato a una riflessione sul rapporto fra la parola e la percezione. “Amorose” è la parte più corposa del volume e narra di una relazione emotivamente densa ma distruttiva. “Visioni” si incentra sui temi del simbolo e della morte. “Elementari”, il quarto capitolo, vuole raccontare invece la Natura e la sua immediatezza, ma al contempo la sua forza. “Pianeta Coma” è un capitolo che si sviluppa al limite, al limite del Coma appunto, fra un “al di qua” e un “al di là”, fra lo spegnersi dell’io e le immagini dell’infanzia che si aIlacciano alla mente. “Ritorno”, il settimo e ultimo capitolo, ripercorre e chiude i temi principali del libro, in particolare quelli della relazione di cui si è parlato in “Amorose”.

L.L. Nel tuo libro troviamo anche fotografie suggestive. Come nasce l'intarsio tra la tua arte e quella dell'autore fotografo, fino a conRuire in quest'opera?

A.A. Lui è Eugenio Tonoli, un giovane fotografo di Verona. L’idea di unire le sue foto alle mie parole ha fatto capolino ad uno stadio abbastanza avanzato della lavorazione al libro. Quando ho visto le sue fotografie su Instagram ho pensato che il suo stile fotografico potesse essere attiguo al mio. Uno sguardo un po’ discosto, una sintassi lineare, una prima lettura volutamente veloce. Dopo la prima lettura però la domanda: – Be’, ma cosa ho letto?. Allora deve seguire una seconda lettura, poi una terza, per vedere, si spera, sgorgare sempre significati nuovi. Così ho scelto le sue fotografie, che sono frutto di una reazione istintiva nei confronti della realtà di tutti i giorni, nella ricerca di significati metaforici alla quotidianità, in una sorta di “poetica dell’ordinario”.

“Ascolta.

C’è una poesia,

se sollevi le lettere

e togli via l’inchiostro.”

L'autore. Alessandro Ardigò (1982) è docente di Lingua e Letteratura italiana e dal 2017 è responsabile della rivista di humanities RadiciDigitali.eu. Per Eretica edizioni ha pubblicato Prosimetro moderno (2020). Le due poesie qui riportate sono tratte dal suo nuovo lavoro “Cedere – e altre cose dette d’amore” (Eretica edizioni, 2022).

martedì 22 Febbraio 2022

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